Sulle pensioni donne grava lo scatto previsto dalla riforma Fornero nel 2011 e che le adegua l’età pensionabile all’aspettativa di vita. Dal 2018 le lavoratrici dovranno avere 66 e 7 mesi per poter richiedere la pensione, proprio come gli uomini. L’età più alta d’Europa.
Come gli uomini: pensioni donne a 66 anni e 7 mesi
In materia di previdenza sociale, le cose sembrano destinate a peggiorare nel nostro Paese. Ogni anno sempre più anziani scelgono di lasciarlo, trasferendosi dove il costo della vita è più basso per vivere meglio.
Di recente l’Italia ha segnato un nuovo record negativo: da noi l’età pensionabile è la più alta d’Europa. Nel 2018 le pensioni donne nel settore privato saranno erogate a 66 anni e 7 mesi, come agli uomini. Nel 2019 per andare in pensione si dovranno raggiungere i 67 anni.
La riforma Fornero, infatti, nel 2011 ha elevato l’età della pensione di vecchiaia adeguandola alle aspettative di vita attuali e stabilito le tappe per l’unificazione dei requisiti tra uomini e donne, già raggiunta nel 2015 dai dipendenti della pubblica amministrazione.
Due anni in meno per l’anticipo pensionistico
Fino a questo momento il Governo ha ridotto di 2 anni i contributi richiesti per accedere all’anticipo pensionistico (APE) per le categorie da tutelare. L’Ape social potrà essere ottenuta lasciando il lavoro con 3 anni e 7 mesi di anticipo senza la penalità della riduzione dell’assegno.
Ma per quanto riguarda le pensioni donne non sembrano esserci scappatoie. Persino in questo caso i dubbi sono più delle certezze. Il calcolo dell’Ape risulta infatti complicato, poiché va determinato caso per caso.
Tuttavia gli anni di contributi scendono da 30 a 28 per le disoccupate. I sindacati vogliono vederci chiaro e per risolvere i problemi legati alla previdenza e alle pensioni donne si sono incontrati con Giuliano Poletti, Ministro del Lavoro.
Bonus in contributi per chi accudisce familiari e disabili
Oltre a risolvere il problema delle pensioni donne, il Governo sta valutando l’ipotesi di riconoscere il lavoro svolto per curare figli, genitori e disabili – per la grande maggioranza dei casi svolto da donne.
In caso questa opportunità venisse approvata e considerata nel calcolo pensionistico, lo Stato verserebbe i relativi contributi. Prima di fare una scelta c’è però bisogno di mettere dei paletti per scongiurare i comportamenti opportunistici. Vale a dire che non basterebbe avere un bambino o un anziano da accudire per beneficiare dello sconto sui contributi. Per ottenerlo dovrebbe essere invalido al 100%, mentre la donna dovrebbe risultare disoccupata in quel periodo. Il discorso è ancora molto vago per quanto riguarda gli anni e i mesi dei contributi riconosciuti.
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La riforma Fornero è una autentica macelleria sociale. Questa la prima cosa da chiarire. Quello che mi indigna è l'atteggiamento del sindacato, che sta tentando di strappare un qualche miglioramento, su un impianto che va cancellato. La controproposta che doveva essere avanzata al momento della stesura della Legge, doveva chiedere una riforma intanto dell'Inps, a seguire una proposta di riforma che doveva vedere un ritorno alle origini dell'istituto pensionistico. Solidarietà basata sul diritto e non sull'elemosina. Quindi pensione pubblica unica, finanziata dai contributi e da una fiscalità generale, con una forbice che deve certamente contemplare un minimo e un massimo. Vedere parlamentari e altre figure sociali o istituzionali, godere di più pensioni e per giunta non cumulabili tra loro, fa arrabbiare. Il caso dell'On. Amato tanto per citare un nome, è più che eloquente. la riforma Fornero non ha intaccato privilegi, come quello dei manager che come è noto, prendono molto di più di quello che hanno versato. La Feder manager infatti era in profondo rosso, poi quel disavanzo è confluito nell'Ente. La cosa insopportabile è che chi sta lavorando ora, sta pagando la pensione a questi signori, che non sempre peraltro, hanno brillato nella gestione delle aziende a loro affidate. Poi c'è una questione culturale legata alle pensioni: la vita di ognuno di noi. Con questa riforma si sancisce il brutale principio che la vita di chi lavora, vale poco e va spremuta come un limone. Solo alla fine esausto, gli deve essere concesso il diritto ad un po di riposo. Io ritengo che il diritto a vivere un periodo della propria vita, prima di chiuderla definitivamente, in piena salute per poterla dedicare a se stesso, alle proprie passioni e la propria famiglia, ai viaggi, debba essere esaudito. Insomma a questa concezioni ultra liberista nei rapporti tra lavoro e tempi di riposo, va contestata. A questo liberismo che peraltro ha causato gravi danni al Sud del mondo, si devono contrapporre altri valori. Aprire un dibattito su queste tematiche, coinvolgendoci fasce ampie di cittadini, sarebbe una buona cosa, i partiti ritroverebbero quel ruolo che assegna loro la nostra bella Costituzione.
La Donna che accudisce la famiglia, non ha alcun riconoscimento economico dallo Stato!
mi spiegate per che? visto che i soldi per gli emigrati li trovate?