Italia al primo posto per siti Unesco, ma investe troppo poco nella cultura
Nonostante l’Italia detenga un primato a livello mondiale in termini di patrimonio artistico, il nostro Paese si rivela invece molto più indietro nelle graduatorie internazionali quando si mostrano le opportunità di lavoro in campo culturale.
Una ricerca Eurostat, l’istituto statistico dell’Unione Europea, ci consegna infatti un quadro desolante: a rappresentare questa amara realtà sono i numeri impietosi che vengono snocciolati all’interno della ricerca.
Il prestigioso centro di ricerca ha infatti certificato che nella patria di Michelangelo e Leonardo, in quelle terre che hanno prodotto le più note opere d’arte al mondo, ci sono poche opportunità di lavoro in campo culturale.
A conferma di ciò basta scorrere le cifre: a fronte di 53 siti protetti dall’Unesco – siamo primi al mondo seguiti dalla Cina – a essere impiegato nel settore della cultura è solo il 3,2% della popolazione. Nonostante l’Italia sia sede della più grande concentrazione di monumenti, bellezze artistiche e paesaggistiche del mondo, le opportunità di lavoro in campo culturale languono in maniera paradossale.
Questo dato, molto sconsolante, piazza l’Italia addirittura al 19mo posto tra i Paesi dell’Ue a 28.
Quali sono le cause che determinano il problema del poco lavoro nella cultura? Dietro i numeri c’è sempre una realtà in grado di spiegare le ragioni che determinano risultati sconfortanti come quelli evidenziati da Eurostat.
Ancora una volta l’Italia sconta il prezzo di scarsi investimenti in un settore che altrove genera lavoro e ricchezza. Un esempio su tutti: l’Estonia, che spende circa il 2% del PIL è al secondo posto in questa speciale classifica sugli occupati nel settore della cultura. L’italia, al contrario, si ferma in fondo alla classifica – in compagnia di Regno Unito e Irlanda – con uno striminzito 0,7%.
Opportunità di lavoro in campo culturale troppo scarse
Uno dei refrain più sentiti è quello che giustifica scarse risorse nella cultura con la convinzione che questo comparto, al contrario di altri settori, non generi profitti. La realtà però è ben diversa e la stessa lettura di questi dati in qualche modo lo conferma.
Nella parola cultura, infatti, vanno ricomprese un gran numero di attività che sono riconducibili a un’accezione molto ampia del termine. Quando si parla di opportunità di lavoro in campo culturale si fa riferimento anche alle figure con professionalità di natura economica.
Per chiarire: lavora nella cultura anche chi fa il designer in un ambito culturale, chi si occupa di economia per soggetti che fanno cultura, chi insomma è portatore di professionalità non riconducibili direttamente a ciò che solitamente si considera cultura ma che lavora grazie a essa.
Si comprende, quindi, quanto ampie potrebbero essere le ricadute in termini di prodotto interno; quanto sarebbe facile superare l’attuale condizione per cui si lavora poco nella cultura, se il settore incidesse maggiormente nell’economia del Paese e valorizzasse ulteriormente una ricchezza unica di cui l’Italia è distratta detentrice.