La rivoluzione dell’internet of things scompiglia anche il business model degli incubatori. Tutto da rifare?

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La rivoluzione dell’internet delle cose (meglio noto come “internet of things” per gli anglofili) non solo sta rivoluzionando il mondo dell’industria e dei servizi informatici, in una collisione fra un settore tradizione ed uno innovativo dalla possibile magnitudo di una reazione nucleare, ma sta anche sovvertendo in maniera radicale il mondo ed il ruolo degli incubatori e del mondo del credito.

La prima fase della “start up revolution” ha visto operare un paradigma che possiamo definire “push”; in tale contesto uno “startupper” usualmente individuava una esigenza che il mercato non sapeva nemmeno di avere e ne creava il relativo prodotto informatico. Si pensi all’esempio di Tripadvisor; il mercato non aveva idea di avere il bisogno di conoscere cosa pensavano viaggiatori e avventori di hotel e ristoranti. In maniera “push” i creatori di Tripadivsor hanno “spinto” il loro servizio creando bisogno e mercato nel tempo stesso.

Gli incubatori, avvezzi a tale modus operandi, hanno operato creando le condizioni per accogliere tali “giovani visionari” e consentirgli, in un ambiente contemporaneamente stimolante e protetto, di poter sviluppare la propria idea dirompente e fuori dagli schemi. Per gli incubatori ciò ha significato disporre di spazi, di risorse finanziarie importanti completamente scollegate dal mondo del credito tradizionale nonché di agevolare le contaminazioni fra più “start ups”.

Corollari per gli incubatori a tale paradigma sono:

percorsi di incubazione e realizzo delle partecipazioni piuttosto lunghi (3-5 anni);

necessità di alimentare una pipeline di nuove iniziative per garantire prospettive e sviluppo dell’incubatore;

scouting complesso e in un contesto di continuo restringimento delle possibilità di invenzione dirompente in un mercato sempre più affollato.

La nuova fase che si affaccia all’orizzonte vede il completo sconvolgimento dei paradigmi sopra riportati.
Sconvolgimento, ma non sostituzione, in quanto, ad avviso dello scrivente, i modelli “push” e il nuovo paradigma “pull” andranno a convivere nel mondo degli incubatori.

Ma cosa s’intende per paradigma “pull”?

L’industria 4.0 ha bisogno di “connettere” ogni fase della produzione nonché in altri casi di connettere anche il prodotto stesso. Le imprese operanti nei settori tradizionali più innovative si stanno rendendo conto delle esigenze sopra riportate e trovano naturale rivolgersi agli innovatori per eccellenza che trovano casa negli incubatori.

Tali innovatori, stimolati da esigenze esterne sottoposte alla loro attenzione, non devono più “inventarsi” nuove esigenze da soddisfare ma sono i bisogni a bussare alla loro porta. Si tratta quindi di “inventarsi” soluzioni per rispondere a un mercato potenzialmente illimitato e che ben sa cosa vuole.

Come devono quindi riorganizzarsi gli incubatori per affrontare tali nuovi sfide e rivestire un ruolo di promotore di tale sviluppo?

La sfida non è semplice poiché gli incubatori devono affiancare al modello di business classico un nuovo business model che prevede:

la capacità di creare un vivaio di cervelli specializzati in diverse aree ed in grado di organizzarsi e riorganizzarsi sulla base delle “sfide” sottoposte al loro vaglio;

disporre di figure in pianta stabile quali “technology strategists” in grado di aggregare e stimolare le nuove risorse;

capacità di far supportare uno sviluppo finanziario completamente nuovo e caratterizzato da un fenomeno prima di fatto sconosciuto e che porta il nome di “working capital”.

Portare internet in un oggetto spesso presuppone che tale oggetto venga acquistato nelle sue componenti base, assemblato, stoccato e venduto. Si tratta di un ciclo di capitale circolante completo fatto di magazzino materia prima, semilavorati e prodotti finiti nonché di debiti verso fornitori e di crediti verso clienti. Un investimento che era quasi sconosciuto nel mondo delle “vecchie” start ups.

capacità logistiche e di creazione di un network di relazioni con fornitori esterni completamente nuovo. In tal senso piazze quali quella Bresciana ove sono presenti sia imprese “tradizionali” ma innovatrici, reti di subfornitori altamente specializzati, incubatori di nuove iniziative imprenditoriali e disponibilità di capitali sono realtà particolarmente adatte al nuovo paradigma.

Le opportunità di tale modello sono innumerevoli:

ogni bisogno sottoposto dall’esterno al vaglio dell’incubatore può condurre a spin offs di nuove imprese;

i tempi di “incubazione” possono subire una importante accelerazione così come il processo di creazione di valore;

la platea di investitori può ampliarsi in maniera esponenziale nel mondo delle imprese “tradizionali” che necessitano dell’internet delle cose e di muovere verso il paradigma 4.0;

il mondo del credito tradizionale può finalmente affacciarsi al mondo delle start ups offrendo i propri prodotti di finanziamento anche nelle prime fasi di vita delle imprese (si pensi alle esigenze di anticipo di contratti, di ordini o di portafoglio commerciale nonché a finanziamenti per le scorte o sull’importazione di componenti).

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