I giovani e il lavoro: perchè non hanno più voglia di lavorare?

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Come ogni anno, arrivano le temperature estive e sui giornali e nei talk show televisivi potete assistere a dibattiti fiume sul perché gli operatori turistici non riescono a trovare personale per lavorare all’interno delle proprie aziende.

Politici, imprenditori e improbabili opinionisti dell’ultimo minuto dicono la loro opinione, spacciandola per verità assoluta: ma in realtà perché i giovani non vogliono più lavorare? Ecco un’analisi lucida sulla questione.

La leggenda metropolitana più gettonata: i giovani non vogliono più lavorare

I titolari di impresa o semplicemente chi possiede un lido balneare oppure un ristorante, con l’arrivo della stagione più calda iniziano a prendere parte alla processione televisiva per affermare, a favore di telecamere, di non riuscire più a trovare dipendenti per le proprie aziende e per tale motivo di essere costretti a dimezzare il servizio o addirittura l’orario di lavoro.

Da più parti c’è chi accusa di questa situazione il reddito di cittadinanza, sostenendo che soprattutto i giovani preferiscono stare a casa senza far nulla, avendo a disposizione le “laute” cifre del reddito di cittadinanza, che poi secondo alcuni spenderebbero per droghe e divertimenti.

Insomma, se ascoltate la voce degli imprenditori, i ragazzi non hanno più voglia di sacrificarsi e preferiscono farsi mantenere dai genitori piuttosto che svegliarsi presto la mattina per andare a lavorare duramente, come hanno fatto prima di loro i genitori e prima ancora i nonni. Ma è veramente così?

Perché i giovani non vogliono più lavorare?

In realtà non è corretto affermare che i ragazzi non vogliono più lavorare e soprattutto non è un’analisi veritiera quella che parte da un unico punto di vista, ossia quello dell’imprenditore. Bisognerebbe ascoltare la voce dei ragazzi per capire quali sono i reali motivi che spingono a non accettare le proposte di lavoro così “allettanti”.

Innanzitutto, spesso si tratta di contratti al limite dello sfruttamento (sempre nei casi in cui il contratto viene effettivamente stipulato e non si tratta di lavoro a nero), visto che i ragazzi vengono inquadrati in impieghi part time e poi costretti a lavorare fino a 12 ore al giorno, soprattutto nell’ambito della ristorazione.

Inoltre la pandemia da Coronavirus ha cambiato completamente il modo di pensare delle persone, e non solo dei giovani: oggi nessuno è più disposto a farsi sfruttare per percepire uno stipendio da fame e non adeguato al proprio titolo di studio, che a malapena serve per riuscire a sostenere le spese primarie come l’affitto, il mutuo oppure il vitto.

La Poor Generation ha deciso di cambiare il corso della sua vita e lo fa non accettando più lavori mortificanti.