Lavoro e burnout: c’è davvero una cultura aziendale tossica? Ecco chi soffre di più del problema (e perché). Ormai sta diventando una costante e dovete prestare attenzione a non stressarvi troppo sul lavoro.
Una criticità medica
Il burnout è stato ufficialmente inserito nell’elenco delle malattie da parte dell’OMS nella revisione della classificazione internazionale. Si tratta dunque di una patologia che ha origine nel contesto lavorativo e che deve dunque essere gestita adeguatamente per non progredire ancor più negativamente.
In origine si pensava che ne fossero affetti solo coloro che operavano all’interno dei reparti attivi sul fronte dell’igiene mentale ma l’istituto McKinsey Health ha recentemente condotto un’indagine statistica, rilevando che il 22% dei dipendenti oggi sperimenta questo disturbo.
Lavoro e burnout: esiste una cultura aziendale tossica? Chi soffre di più e perché?
La correlazione tra eccesso di lavoro e burnout è evidente ma c’è una cultura aziendale tossica che lo determina? Ecco chi ne soffre maggiormente e perché: giovani, Millennial, GenZ e figure non dirigenziali.
Anziché puntare il dito contro l’organizzazione dell’impresa, però, dovreste concentrarvi sulla tipologia di mansione a cui siete assegnati, per capire se rientrate davvero tra i soggetti a rischio.
Nel 1981 la nota psicologa Maslach ha identificato il burnout, in larga prevalenza, tra coloro che stanno costantemente a contatto con i problemi degli altri. Sarebbero perciò annoverabili nella categoria più esposta i poliziotti, gli avvocati e il personale docente delle scuole. Non sono esenti dal pericolo di sviluppare questa patologia i dipendenti che lavorano in ambienti caratterizzati da fortissima competizione tra colleghi.
Una questione sanitaria ed economica
La domanda sul fatto che la relazione tra lavoro e burnout identifichi una cultura aziendale tossica ha una sola risposta: le imprese sono chiamate a cambiare rapidamente approccio.
Nel mondo del lavoro, già adesso, in Italia esiste l’obbligo di valutare tutti i rischi e lo stress rientra tra i fattori da considerare.
Non è soltanto questione di rispetto dei diritti e della salute dei dipendenti ma è anche una sfida economica e finanziaria, nonché un’opportunità ghiotta di crescita.
Il benessere dell’organico aziendale interno potrebbe fruttare, secondo una stima di “Business in the community” dal 6 al 17% del PIL. Questa analisi è stata fatta sul campione inglese ma è facile immaginare di poterla proiettare nel medesimo range nel nostro paese. I comportamenti dei manager, infine, dovranno essere proiettati in direzione della costruzione dei presupposti ideali per vivere in un ambiente lavorativo sano.