Cos’è il Quiet Quitting e perchè arriva dopo la Great Resignation
Dopo la Great Resignation arriva il Quiet Quitting: più tempo libero e meno fatica
Subito dopo la pandemia, con la fine dell’emergenza sanitaria e di conseguenza pure dello smart working, il mondo del lavoro era stato investito dal fenomeno della Great Resignation: i dipendenti, soprattutto quelli che occupavano posizioni manageriali, hanno iniziato a licenziarsi, nel tentativo di trovare una dimensione di vita che mettesse al centro soprattutto il benessere psicofisico. Una scelta drastica, che presuppone però la possibilità di mantenersi economicamente, magari con i risparmi messi da parte in tanti anni di lavoro. La generazione Z, invece, ha iniziato da qualche tempo ad attuare un’evoluzione della Great Resignation, ossia il Quiet Quitting, letteralmente abbandono silenzioso: non si lascia il lavoro per non rinunciare allo stipendio e al benessere ad esso legato, ma allo stesso tempo non si fa assolutamente nulla in più rispetto a quanto non sia previsto dal proprio contratto. Niente straordinari, niente serate trascorse al lavoro, solo le mansioni che rappresentano il minimo indispensabile per il ruolo che si ricopre: si lavora molto meno per guadagnarne in salute.
Per i giovani il sacrificio (non) paga!
Il fenomeno del Quiet Quitting nasce su TikTok, grazie a Zaid Khn, un giovane ingegnere di New York di appena 24 anni che ha spiegato la filosofia che è alla base di questo abbandono silenzioso: non dovete farvi sottomettere dalla logica della competizione costante con voi stessi e con i colleghi, anche perché non vi porterà a nulla. I giovani della Gen Z si sono presto resi conto che regalare il proprio tempo all’azienda, fare del lavoro una ragione di vita, non solo fa sprecare attimi preziosi ma non ripaga in termini di carriera, denaro, prestigio. Khn invita tutti a riflettere sul fatto di essere persone a prescindere dal proprio lavoro, visto che la professione non vi definisce certo come esseri umani. Inoltre, il Quiet Quitting parte dal presupposto che, se anche un lavoro regala un certo benessere economico ma a discapito della propria salute mentale o della vita privata, allora comunque il gioco non vale la candela.